L’avvocato cagliaritano, che opera dal 1993 nel settore degli appalti pubblici e delle joint venture, internazionalizza la professione con la sede di Dubai
Avvocato Murru, la professione di avvocato non è immune dalla sfida delle nuove tecnologie, e di un mondo sempre più globalizzato.
«Direi che l’intero settore della giustizia sta affrontando un cambiamento epocale, e chi vuol sopravvivere deve tenere conto della rivoluzione in atto. Il processo civile telematico, ad esempio, consente di realizzare molto più lavoro nell’unità di tempo, con conseguente grande risparmio. Oggi in Italia un atto si può depositare con un click: è un fatto meraviglioso, che permette costi inferiori nelle spese legali per i clienti e che, se tutti si adeguassero, accorcerebbe i tempi della giustizia. Stesso discorso per la globalizzazione: perché non sfruttare le occasioni che altre realtà ci forniscono?»
A tal proposito, lei ha aperto una branca del suo studio a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Quali sono le difficoltà che ha affrontato nell’aprire uno studio legale nel Paese arabo?
«Onestamente, le principali difficoltà sono quelle burocratiche e linguistiche. Le prime, perché per poter operare in quel territorio è stato necessario produrre una documentazione non indifferente sui miei trascorsi professionali. Le seconde, perché per me personalmente è stata una grande sfida mettere in gioco le mie conoscenze dell’inglese in una realtà costituita da professionisti di tutti i paesi estremamente preparati. Per esempio, gli stessi componenti della Casa Reale, che sono dotati di una grande profondità culturale. Si impara tanto, e si può dare tanto: il merito è riconosciuto, con conseguenti soddisfazioni personali».
È importante il ruolo delle istituzioni italiane negli Emirati Arabi Uniti?
«Tantissimo: la Camera di Commercio italiana a Dubai, di cui io sono un rappresentante, fornisce assistenza agli imprenditori interessati ad investire nel Paese, così come servizi di traduzione grazie ad interpreti bravissimi e all’altezza della situazione. Gli Emirati Arabi Uniti, nel giro di qualche anno, sono passati dall’essere all’interno della black list degli organi internazionali competenti sulla fiscalità, verso una situazione di quasi piena trasparenza . C’è molto interesse attorno a Dubai: oltre agli accordi bilaterali con l’Italia, che aiutano l’apertura delle imprese nostrane, ci sono incentivi legati alla bassa tassazione esistente».
Il mercato degli Emirati Arabi sta puntando principalmente sull’immobiliare, abbandonando il petrolio. Perché?
«La famiglia reale del Paese arabo ha optato per una scelta pragmatica: il petrolio è una risorsa scarsa, che nell’arco di qualche tempo finirà. Per questo motivo, hanno abbandonato un mercato saturo scegliendone uno nuovo, innovativo e che porta grandi profitti. Io e il mio socio a Dubai, Nicola Zoccheddu, ci occupiamo di real estate proprio per i reali degli Emirati Arabi: i cambiamenti in città avvengono giornalmente, andare lì una volta ogni tre mesi significa trovare rivoluzioni architettoniche, strade nuove, modifiche infrastrutturali di grosso peso».
Tornando all’Italia, il sistema giudiziario è spesso oggetto di critiche. Qual è la sua idea a riguardo?
«Il principale problema della giustizia italiana è legato ai tempi dei processi. Ma non si possono fare miracoli finché il personale sarà ridotto all’osso. Bisogna assumere più personale in tutti i ruoli: servono più magistrati, più cancellieri, più consulenti. A Cagliari e in Sardegna siamo fortunati, abbiamo un alto livello medio nella preparazione degli addetti ai lavori. Ma se un magistrato, per quanto bravo, si trova a dover gestire circa 1000 fascicoli all’anno si trova comunque in grandi difficoltà».
Consiglierebbe ad un giovane di intraprendere la carriera di avvocato?
«Credo che seguire le proprie aspirazioni sia importante, ma che lo Stato non debba illudere le persone. Mi riferisco ai concorsi che vengono banditi per medici, insegnanti o avvocati, sapendo bene che il mercato è saturo. In Francia gli avvocati cassazionisti sono circa 100, da noi sono decine di migliaia. Sono contrario, ad esempio, al numero chiuso per le università perché porterebbe ulteriore corruzione. Vorrei che fosse meglio spiegato come sta andando il mercato, in qualunque settore».
L’opinione pubblica percepisce una carenza di giustizia. Perché?
«La civiltà di un popolo, secondo me, si valuta attraverso parametri quali il livello di assistenza sanitaria, l’istruzione, la giustizia: sono pretese riconducibili a diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Una sentenza interviene in media dopo sette anni: non potrà mai esserci una giustizia se i tempi rimarranno così lunghi. Nel mio studio, composto da tre avvocati che, oltre al sottoscritto che si occupa di diritto fallimentare e gestione societaria, segue questioni di diritto amministrativo e di diritto del lavoro, abbiamo una visione morale del rapporto col cliente e con l’avversario. Chi si rivolge a noi nota prima di tutto trasparenza: preventivo chiaro e spiegazione delle tempistiche sono alla base di un rapporto basato sulla professionalità».
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