“Metto lo spazio esterno nelle case che progetto” – Intervista all’architetto Emanuela Miani.
Dal sito si legge: “Una casa deve saper far parlare di sé, non deve essere ‘anonima’ e deve corrispondere al carattere di chi la abita”. Ci spieghi meglio questo concetto che suona come una vera e propria mission.

«Il designer è un professionista che deve essere bravo ad interpretare le reali esigenze del cliente, ascoltare le sue richieste, capire la funzionalità della casa che dovrà realizzare e arredare. Partire dalle idee del committente e poi farle proprie in base ai suoi obiettivi: il segreto è quello di approcciare il rapporto come uno psicologo».
Ma come si sposano funzionalità e bellezza?
«L’utile e il bello si uniscono nel concept del progetto. Realizzare un casa non significa solo costruirla e arredarla, ma proporre un concetto di abitare capace di mixare la parte pratica con quella artistica. Per il mio lavoro vale la differenza sottile tra musicista e artista: il primo esegue un brano, il

secondo, oltre ad eseguirlo, lo interpreta in base alla sua cultura e personalità».
Una cultura che proviene da studi, esperienze e lavori. Come si è formata la cultura di Emanuela Miani?
«Per me hanno contato e contano due cose: il viaggio e il rapporto stretto con il cliente. Viaggiare significa scattare mille istantanee di vita vera, cercare fuori dalle grandi direttrici turistiche tutto quello che “fa cultura”, che testimonia le origini e le radici di un popolo. Ascoltare il mondo è una palestra straordinaria per ascoltare il cliente, la sua cultura e la sua idea di casa. Per questo motivo, l’approccio psicologico si incrocia con un rapporto di vera amicizia: disponibilità H24, lavorare insieme faccia a faccia nei weekend, entrare in forte empatia con le persone. I miei viaggi reali nel mondo e quelli interiori nei clienti sono i migliori strumenti formativi per eccellere nel mio lavoro di designer, che è molto di più e diverso di realizzare semplicemente una casa».
Nei suoi viaggi un ruolo importante ha avuto la cultura orientale e la filosofia Feng Shui

«Verissimo. Lo star bene, l’essere sempre in equilibrio con se stessi e ciò che ci circonda, costruire la propria dimora tenendo conto degli elementi naturali e primordiali, fuoco, terra, metallo, acqua e legno. Sono concetti che sento molto vicini al mio modo di interpretare gli spazi di una abitazione. Una cultura, quella orientale, che va conosciuta e interpretata per ottenere l’unico obiettivo che conta: la soddisfazione del cliente».
Stupisce che ancora non abbiamo parlato di architettura.
«Non deve stupire più di tanto. Il mio lavoro è quello di designer-artista, all’interno del quale c’è anche una buona dose di tecniche tipiche della professione di architetto. Ma usare solo questo termine è come ingabbiarlo in un concetto riduttivo e limitato: l’idea di casa non è prefissata e stabilita fin dall’inizio. Il lavoro che intendo, invece, è molto eclettico. Che non vuol dire banalmente il ‘saper far tutto’, ma partire dall’ascolto dalle esigenze del cliente, farle proprie e interpretarle con la propria personalità per offrire la soluzione ideale».
Il cliente migliore è quello che ha molte idee ma confuse o che non ne ha?

«Con il cliente che ha già in mente la sua casa è più facile instaurare il rapporto, mentre partire da zero è più complesso. Ma vorrei chiarire subito una cosa: il rapporto con la committenza non è mai una sfida, è un dialogo continuo basato sulla fiducia e sulla fidelizzazione. Mi piace osservare spesso le loro espressioni quando alla fine del lavoro si emozionano per quello che realizziamo. C’è la netta sensazione che abbiamo interpretato perfettamente le sue idee e dato concretezza al suo sogno di casa».
Nota delle differenze tra i clienti attuali e quelli dei suoi primi lavori?
«Oggi le persone hanno le idee più chiare, sono informate, ti presentano già foto di come vorrebbero la casa. Poi il lavoro si sposta nel collaborare con loro a prendere il meglio delle loro idee, reinterpretarle e adattarle alle loro reali esigenze, di gusto e funzionalità, e creare un concept nuovo, personalizzato e unico. Tutto questo lavoro si basa sulla relazione stretta, sulla disponibilità all’ascolto e su un dialogo continuo».

Nel corso degli anni com’è evoluto il suo lavoro?
«Agli albori della professione il committente ero io, nel senso che mi occupavo delle due fasi che precedono la vendita di un immobile: l’acquisto e la ristrutturazione. Ora collaboro con la “Great Estate”, diretta da Stefano Petri, così posso dedicarmi interamente alla dimensione artistica che più prediligo. È un’organizzazione internazionale specializzata nella compravendita di casali, ville e residenze d’epoca. Ma non nascondo che a volte mi piacerebbe tornare alle origini, occupandomi di un ambizioso progetto personale».

Quali sono le prospettive del mercato e le ultime tendenze?
«Ho lavorato molto all’estero, da Los Angeles ai Caraibi. Quindi sono tornata in Italia arricchita da queste esperienze e ora sto seguendo cinque cantieri sparsi tra l’Umbria e la Toscana, passando per il Lazio e un po’ più a nord Treviglio. Il mercato non è in sofferenza ed offre interessanti opportunità. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la tecnologia non ha un posto di rilievo nelle abitazioni di nuova generazione. Mentre, per quanto riguarda il target dei clienti, posso dire che finora sono stati nord-europei e statunitensi a farla da padrone, ma si registra l’ascesa dei committenti giapponesi».
Cosa significa: “si garantisce un servizio chiavi in mano”?
«L’espressione non mi piace, ricorda le vecchie pubblicità delle automobili (ride). È semplicemente la traduzione di una modalità di approccio molto chiara: mi occupo di accompagnare il cliente a tutto tondo, dalla scelta delle materie prime – la tipologia di stucco, il tessuto o il legno utilizzati – sino ai più piccoli dettagli nell’arredo delle stanze. Mettendo al primo posto l’onestà, perché questa è la vera chiave per un lavoro d’autore».
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