Negli ultimi anni, nel settore audioprotesico la tecnologia ha raggiunto risultati straordinari, anche grazie all’intelligenza artificiale che ha reso più performanti le prestazioni degli apparecchi acustici permettendo a chi li indossa di poter apprezzare i suoni nelle loro tante sfumature e quindi migliorare la qualità dell’udito. Se un tempo l’apparecchio acustico era poco più che un amplificatore di suoni, oggi è uno strumento dalle molteplici potenzialità. Ne parliamo con il Dott. Gilberto Ballerini, tecnico audioprotesista, titolare di Audiomedical di Pistoia, da circa 40 anni un riferimento sul territorio nel campo dell’applicazione e dell’adattamento delle protesi acustiche.
Dottor Ballerini, oggi gli apparecchi acustici sono strumenti consigliati solo a chi ha importanti deficit uditivi?
No, noi audioprotesisti correggiamo l’udito di persone che soffrono anche di sordità leggere. Le cito un dato: l’Oms raccomanda l’intervento protesico a partire dal 30% di perdita dell’udito. Coloro che perdono il 30% dell’udito non sono certo persone che non sentono, ma individui che, anche senza protesi acustica, possono condurre una vita normale. Ciononostante, anche queste persone possono beneficiare dell’utilizzo di un apparecchio che migliorerebbe notevolmente la capacità di ascoltare e di comunicare. Perciò parliamo di strumenti innovativi per sentire meglio e dunque rivolti a un’ampia fascia di persone.
Quindi l’apparecchio diventa quasi uno strumento di comunicazione un po’ per tutti?
Sì. Con la premessa che per diventare uno strumento di comunicazione è necessario un cambio di passo da parte della società. Bisogna, in pratica, che si riconosca e si maturi il valore dell’ascolto, della partecipazione, della relazione. In caso contrario, l’apparecchio acustico rimarrebbe confinato nella dimensione di un oggettino da comprare per sentire meglio disgiunto dal fattore salute, e quindi dalla necessaria presa in carico da parte nostra del paziente per un approccio corretto del problema.
Ci spieghi meglio…
Il concetto è molto ampio: è proprio il rapporto con la parola che deve migliorare in generale. Al giorno d’oggi non ci concediamo più il piacere dell’ascolto e della conversazione e i nostri vocabolari si stanno via via inaridendo. Spesso si dimentica che se manca la comunicazione con gli altri subentra l’isolamento. Per noi audioprotesisti il valore sociale della parola è soprattutto una questione di salute. Non dimentichiamoci, infatti, che mantenere l’attenzione sulla parola è una forma di prevenzione verso deficit cognitivi o demenza. La persona debole di udito che perde il contatto con la parola e con l’ascolto tende a isolarsi, spegnendosi lentamente. Ecco, quindi, che il nostro intervento diventa ancora più determinante.
Lei, infatti, da anni promuove il ruolo primario del professionista nell’approccio con la persona…
È vero. Nella correzione dell’udito la figura dell’audioprotesista è centrale in quanto ha come priorità la persona e i suoi bisogni. È un professionista che, partendo dal deficit uditivo dell’individuo, è in grado di capire e valutare i suoi reali problemi, le sue abitudini di vita, il suo essere sociale nella collettività, il suo profilo psicologico e cognitivo. Rimanere fermi sulla persona e sviscerare le sue reali esigenze permette di capire tanti aspetti della sua salute e del sue essere e soltanto a quel punto l’apparecchio diventa uno strumento fondamentale per risolvere il problema, in quanto, grazie alla tecnologia di ultima generazione, è possibile tararlo e personalizzarlo sui bisogni del singolo. Se, al contrario, come riferimento di base si prende l’apparecchio acustico è chiaro che prevale la dimensione commerciale, rischiando di vanificare anche l’impegno e gli sforzi di chi ha come obiettivo quello di assistere il paziente nell’intero percorso riabilitativo per permettergli di essere parte attiva di una comunità. Sono due approcci opposti che dovrebbero armonizzarsi, ma dare priorità all’uno o all’altro è determinante nella soluzione della problematica.
Quindi, l’esperienza e la competenza dell’audioprotesista fanno la vera differenza?
Indubbiamente i progressi della tecnologia nella realizzazione di strumenti sempre più sofisticati sono evidenti: oggi disponiamo di apparecchi che sono dei gioielli, dei “piccoli miracoli”, in grado di elaborare il suono, distinguere la voce dai rumori di fondo, cogliere con estrema precisione la provenienza del suono e gestire il rumore in maniera da renderlo confortevole e non disturbante. Ma l’intervento del professionista rimane fondamentale, non solo perché aiuta la persona a riacquistare tutte quelle abilità che credeva perse, diventando un suo punto di riferimento, ma anche perché, occupandosi di salute e di comunicazione, fa prevenzione e quindi informazione utile alla comunità.
Un problema complesso, che coinvolge molti fattori: ma esiste ancora una certa “reticenza” a indossare apparecchi acustici?
Purtroppo sì. Sopravvive ancora un certo retaggio per cui indossare una semplice protesi acustica provoca un senso di inadeguatezza. La persona debole di udito ha quasi la sensazione di poter essere percepita come una persona che non capisce e quindi, per evitare di non dare questa impressione, cerca di celare il problema. Inoltre, buona parte della pubblicità degli apparecchi e la stessa tecnologia hanno contribuito a fare accettare la soluzione. Ma, appunto, si è accettata molto di più la soluzione rispetto al problema che tante persone vivono ancora come un handicap di cui vergognarsi.
Dottor Ballerini, può farci una previsione per il futuro degli apparecchi acustici?
Nel futuro, come sta già succedendo attualmente, la tendenza sarà quella di abbandonare la spasmodica ricerca degli apparecchi più piccoli e invisibili per prediligere soluzioni protesiche di design, un po’ come avviene per gli occhiali che sono diventati oggetti di stile. Gli apparecchi più innovativi possono già connettersi con cellulare, tv o lettore musicale attraverso il Bluetooth, ma anche quando avremo messo in campo tutta la tecnologia più avanzata il focus sarà ancora la centralità della persona. Perché, ripeto, bisogna lavorare sull’ascolto, sulla comunicazione e quindi sulla relazione tra individui: è questa la vera sfida del futuro.