Gli Italiani che soffrono di patologie legate all’udito sono circa il 12% della popolazione: da una recente ricerca del Censis emerge un significativo incremento non solo nella fascia di età degli ultraottantenni, ma anche in quella che spazia dai 46 ai 60 anni. In sostanza, se il rischio di sentire meno aumenta con l’avanzare degli anni, l’ipoacusia, cioè la diminuzione della capacità uditiva, non risparmia le altre età. La difficoltà a percepire bene i suoni ha anche una valenza sociale, come ci spiega il Dott. Gilberto Ballerini, tecnico audioprotesista, titolare di Audiomedical di Pistoia, da circa 40 anni operativa nel settore sanitario delle protesi acustiche nella zona.
Dottore, perché in presenza di problemi di udito si parla anche di disagio sociale?
«Il problema di udito, manifestandosi nella comunicazione, risente molto dei mutamenti degli stili di vita che la società abbraccia nel tempo. Oggi, a differenza di tanti anni fa, siamo più aperti verso le relazioni sociali ed è normale avere il desiderio di essere più vigili e performanti. In ogni contesto che preveda un’interazione con gli altri il problema di udito è percepito maggiormente, quindi è un disagio sociale anche perché viene intaccata la capacità di rapportarsi con gli altri senza filtri o impedimenti».
Questo problema ben più diffuso di quanto si creda crea ancora imbarazzo in chi ne soffre?
«Premesso che il deficit uditivo associato all’età, chiamato presbiacusia, fa parte dell’invecchiamento e quindi è inevitabile, il problema dell’udito mette spesso la persona a disagio nella comunicazione, generando incertezza. Anche perché, per un retaggio del passato, capita di considerare chi è sordo come una persona con problemi cognitivi. Si tratta di un’associazione errata e ingenerosa che provoca malessere».
Indossare un apparecchio acustico genera ancora un senso di “vergogna”?
«Accade, ma credo sia un problema di percezione. Ritengo che questo oggetto, oggi, sia così piccolo e ben celato da non creare imbarazzi nelle relazioni. Chi ha problemi uditivi è più condizionato dal proprio disagio: infatti si nota di più una persona che non sente rispetto a chi utilizza un apparecchio».
In questo scenario, in che modo la tecnologia ha ovviato ai problemi di udito?
«Nel nostro settore sono state investite tante risorse per produrre apparecchi definiti “piccoli miracoli” di tecnologia. Risolvere o attenuare il deficit uditivo non consiste solo nell’aumentare l’intensità del suono, quindi la tecnologia odierna si è focalizzata nella realizzazione di apparecchi acustici che permettano alla persona di distinguere la voce dal rumore, aiutandola a percepire meglio nelle varie situazioni di ascolto».
In che modo?
«I dispositivi evoluti riescono a riconoscere la voce dal rumore in funzione di come si manifestano le onde sonore, dal loro andamento, dai tempi e dalla velocità impiegati, con quanta pulizia o fedeltà vengono emesse. Tante variabili che soddisfano le esigenze delle persone con deficit diversi e quindi bisogni differenti».
Quindi la tecnologia non può prescindere solo dai bisogni misurati “oggettivamente”, ma anche dal contesto della persona…
«Proprio così: l’apparecchio acustico è uno strumento così sofisticato da adattarsi alle varie situazioni acustiche degli ambienti in cui la persona vive. E di interagire nei contesti acustici che si vengono a determinare. Oggi disponiamo di dispositivi sempre più miniaturizzati, operiamo con software evoluti, tariamo gli apparecchi sul problema specifico: è questa la vera tecnologia a cui bisogna fare riferimento».
La tecnologia è fondamentale, ma quanto è importante l’intervento dell’audioprotesista?
«Fa la vera differenza perché quella dell’audioprotesista è una vera vocazione all’assistenza: la tecnologia serve, ma non è sufficiente. Il professionista è colui che opera con competenza, empatia, prendendo in carico il problema dell’utente, e che si occupa di riabilitazione facendo anche informazione».
In che senso?
«Quando si fa un percorso di riabilitazione uditiva, ci confrontiamo con le varie fasi dell’adattamento: acustico, biologico, relazionale. Durante i vari incontri nel tempo, è necessario fornire all’utente tutte le informazioni per renderlo partecipe e consapevole di ogni aspetto del problema. In quest’ottica, l’informazione equivale anche a fare prevenzione perché fa comprendere meglio le varie sfaccettature del singolo caso. Lavorare bene significa profondere tempo, energia e impegno, che hanno un grande valore intrinseco perché migliorano la qualità della vita della persona».
Molti credono che risolvere il deficit uditivo si risolva solo nell’acquisto di un oggetto tecnologico…
«Ricorrere a un apparecchio acustico significa affrontare un problema di salute compiendo un percorso riabilitativo che includa l’assistenza di un audioprotesista. Dietro l’inserimento di una protesi acustica c’è molto più lavoro di quanto si pensi: c’è la personalizzazione di uno strumento che cambia il modo di percepire suoni e rumori; ci sono il tempo speso per fare informazione e la competenza per sfruttare tutte le potenzialità dell’apparecchio. A tali elementi si aggiunge la pianificazione dei successivi controlli per verificare che l’udito non si alteri. In tutti questi casi l’audioprotesista verifica in maniera graduale e continua il beneficio protesico raggiunto».
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