7,3 milioni di Italiani soffrono di ipoacusia, cioè la perdita parziale dell’udito. Secondo uno studio del Censis le problematiche legate alla funzione uditiva interessano in modo differente le diverse fasce di età: la percentuale maggiore riguarda gli ultraottantenni con deficit uditivi connessi all’età, ma una grande fetta della popolazione più giovane ne è ugualmente colpita, il 10% interessa le persone tra i 13 e i 45 anni e la fascia d’età tra i 46 e i 60 anni è addirittura in aumento (+9,8%). Da questa fotografia appare molto chiara la ripercussione che l’ipoacusia ha sulla salute pubblica; ne parliamo con il Dott. Gilberto Ballerini, tecnico audioprotesista, titolare di Audiomedical di Pistoia, da circa 40 anni punto di riferimento nel campo dell’applicazione e dell’adattamento delle protesi acustiche.
Dottor Ballerini, i numeri rilevati non sono incoraggianti…
«L’ipoacusia è un problema sempre più diffuso, tanto che si stima che nel 2025 le persone che subiranno un calo uditivo saranno 8 milioni. Il dato preoccupa perché si sta registrando un aumento progressivo anche tra la popolazione più giovane».
Quali sono le opportunità in campo audioprotesico per chi ha problemi di udito?
«A fronte di investimenti importanti la ricerca ha fatto progressi incredibili raggiungendo livelli tecnologici tali da risolvere gran parte dei problemi. Grazie all’intelligenza artificiale, l’idea di riprodurre e rendere ancora più performante le prestazioni del sistema uditivo umano sta diventando una realtà».
Può farci qualche esempio?
«Da quando si è cominciato a parlare di elaborazione del rapporto segnale-rumore anziché di amplificazione selettiva, sono stati sviluppati sistemi innovativi. Con le tecnologie implementate negli ultimi anni e con l’introduzione di apparecchi acustici più evoluti è possibile supportare in modo naturale il cervello nell’elaborazione dei suoni, assicurandogli l’accesso all’intero scenario sonoro presente nell’ambiente in quel momento, come succedeva quando, da bambini, percepivamo tutti i suoni contemporaneamente, mettendoli perfettamente a fuoco».
Cos’hanno comportato per il paziente, dal lato pratico, questi progressi?
«Hanno restituito alle persone con deficit uditivo la grande opportunità di sentire meglio, permettendo loro di mantenere una soddisfacente vita di relazione e una buona capacità di comunicazione, non solo per quel che riguarda la qualità della vita, ma per una questione prettamente di salute. Questo, grazie alla possibilità di sfruttare i vantaggi della tecnologia con un’estrema personalizzazione dell’apparecchio».
Quindi, correggere l’udito attiene solo alla funzionalità dell’apparecchio?
«Assolutamente no, si parte dal problema e quindi si sfrutta tutto quello che la tecnologia sa offrire. Purtroppo manca ancora una cultura della correzione audioprotesica perché quando parliamo della sordità ci focalizziamo sull’acquisto dello strumento, sottovalutando il problema. Correggere l’udito, invece, oltre ad avere una valenza sociale importante attiene alla salute e scongiura patologie più gravi. Oggi la ricerca dell’apparecchio più piccolo, più performante e meno costoso ha un po’ appannato il problema che sta a monte, facendolo passare in second’ordine».
Secondo il Censis il 38% delle persone manifesta resistenze all’utilizzo delle protesi per una mera questione estetica…
«Da qui nasce la corsa a proporre apparecchi miniaturizzati, “invisibili”, da nascondere, che alimentano ulteriormente la mancata accettazione del problema, focalizzandosi soltanto sulla sua soluzione. Oggi soffrire di deficit uditivo rappresenta ancora uno stigma da nascondere, di cui vergognarsi. Paradossalmente si sta perdendo il focus, preoccupandosi esclusivamente di correggere velocemente e scegliendo apparecchi dalle dimensioni minime».
Effettivamente sul mercato c’è la corsa a realizzare apparecchi sempre più piccoli…
«Attenzione alla relazione che più piccolo è uguale a più performante: prima di valutare la dimensione dell’apparecchio bisogna considerare la sua funzionalità perché sono tanti i casi in cui l’apparecchio interno, a scomparsa nel condotto, non è indicato. Ogni persona è diversa dall’altra, ogni caratteristica di sordità richiede interventi diversi e quindi apparecchi differenti. Se vogliamo parlare di dimensioni, il trend attuale per quanto riguarda utilizzi diversi vorrebbe l’apparecchio ben visibile, personalizzabile, come ci hanno abituati i personaggi della musica o della tv. in questo senso si starebbe sdoganando l’uso dell’apparecchio acustico, anche colorato, bello da vedere, dalle prestazioni eccellenti».
Ci spieghi…
«Gli apparecchi più evoluti dispongono di varie funzionalità e potrebbero diventare un accessorio da indossare, un po’ come ci hanno abituato gli auricolari dei telefonini. Oltre a correggere l’udito, grazie alla tecnologia Bluetooth è oggi possibile connettersi con gli altri device, come il cellulare, la tv o un lettore musicale. Noi audioprotesisti, ad esempio, seguiamo tante persone che usano gli apparecchi anche per sentire la musica o per fare o ricevere telefonate sul cellulare. In un mondo sempre più wireless questo è un grande vantaggio, ma non va dimenticata la funzione primaria che è la correzione dell’udito».
In che modo entra in campo la figura dell’audioprotesista?
«L’audioprotesista è una figura centrale, di riferimento per la persona che soffre di deficit uditivo proprio perché in questo mare magnum di prodotti, tecnologie e opportunità la funzione svolta da questo professionista è fondamentale. È lui a farsi carico del problema della persona: il suo ruolo non consiste solo nell’individuare l’ausilio più adatto, ma anche nel valutare i reali problemi del paziente, il suo stile di vita, le sue abitudini, considerando anche l’ambito psicologico e cognitivo. L’audioprotesista svolge un ruolo complesso che prosegue per tutta la durata del percorso di riabilitazione e di verifica del beneficio nel tempo».
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