Due soci dello studio legale Boursier Niutta [&] Partners di Roma ci spiegano com’è cambiata la figura dell’avvocato giuslavorista che si occupa in particolare di assistere i datori di lavoro: un consulente che offre i servizi alle aziende durante tutto l’anno. «Ma soltanto uno studio boutique riesce sempre a seguire direttamente i clienti» – Intervista ad Enrico Boursier Niutta e Luca Garramone
Voi siete due dei cinque soci dello studio legale fondato da Carlo Boursier Niutta negli anni ’70. La sede centrale è a Roma, ma lo studio è presente anche in altre città:Milano, Napoli, Bologna, Torino e Catania. È da sempre specializzato nel diritto del lavoro e rappresenta un osservatorio privilegiato sulla professione: come si è evoluta negli ultimi anni?
«C’è stato un forte cambiamento. Se prima l’avvocato specializzato in diritto del lavoro veniva consultato soltanto in situazioni di emergenza, cioè quando il lavoratore intentava una causa contro l’azienda, ora lo scenario è diverso. Il nostro lavoro viene svolto quotidianamente nell’arco di un anno per contribuire alla gestione lungimirante dell’azienda. Siamo dei consulenti quotidiani al fianco delle aziende, per questo è importante conoscere la storia di ogni azienda e la sua struttura».
A cosa è dovuto questo cambiamento?
«È il riflesso del mutato panorama legislativo. Ad esempio da ultimo il Jobs Act ha scardinato un sistema: con la riscrittura dell’articolo 18 e della disciplina dei contratti a termine e della somministrazione è venuta meno una fetta importante di questioni litigiose. Il contenzioso, dunque, si è notevolmente ridotto, o si ridurrà, e contestualmente l’attenzione si è spostata sulle problematiche gestionali.».
Spiegateci meglio…
«Gestire una ristrutturazione aziendale, occuparsi di accordi collettivi, seguire la contrattualistica di un’impresa, supportare l’azienda nel delicato compito delle relazioni industriali: l’ambito d’azione è molto vasto e il concetto “one size fits all” (soluzione universale, ndr) non può andar bene, essendo necessario conoscere le specificità delle singole realtà aziendali. Inoltre il diritto del lavoro è sostanziale ed impregna le nostre vite molto più di quanto si possa immaginare. Occorre scavare a fondo ed in particolare servono quattro cose».
Quali?
«Una preparazione minuziosa che oggi deve essere anche”crossgiurisprudenziale”, una squadra perfettamente oliata,che sia in grado di muoversi con precisione, e la copertura capillare del territorio. A questo si aggiunge la capacità di ogni socio di interfacciarsi direttamente con il cliente, il quale va seguito in modo esclusivo per offrire soluzioni personalizzate e flessibili. La buona consulenza la si fornisce solo attraverso un rapporto diretto e continuativo».
Quindi la crescita di uno studio deve essere proporzionata al numero dei soci?
«Questo è un punto fondamentale. Uno studio grande non deve smarrire la peculiarità inevitabilmente“artigianale” della professione, che si fonda su una conoscenza specifica della singola azienda. Uno studio deve sempre cercare un punto di equilibrio tra quantità e qualità: non ha senso incrementare il fatturato se poi si va a sacrificare il rapporto diretto con i clienti, allungando la filiera».
Ecco, a proposito di clienti: le imprese considerano il giuslavorista come un costo o un’opportunità?
«Le società che hanno un ufficio legale interno vedono un avvocato esterno come un costo, quelle più piccole come una risorsa a cui chiedono di gestire ogni problematica di sua competenza. Ma, in entrambi i casi, si tratta di un’opportunità: un’attività di consulenza seria e continuativa fa risparmiare tempo e denaro, sia evitando possibili cause che permettendo di sfruttare tutti gli elementi della flessibilità. La parcella di un avvocato è solo parte del risparmio di una amministrazione aziendale oculata».
Si parla di flessibilità molto spesso mettendola in opposizione all’eticità
delle scelte aziendali. Dal vostro punto di vista – quello di uno studio che ha curato l’unica vera e propria privatizzazione sino ad oggi avvenuta in Italia e segue alcuni dei principali gruppi di telefonia, compagnie aeree internazionali e conglomerati industriali – c’è anche l’etica alla base delle scelte aziendali?
«C’è una maggiore attenzione al welfare aziendale, inteso come benessere dei dipendenti. Le aziende hanno compreso che un dipendente sereno è più produttivo e quindi, nei limiti del possibile, viene messa a sua disposizione una serie di strumenti per garantirgli delle ideali condizioni di lavoro. È il caso dello “smartworking“, o lavoro agile, che permette ad un dipendente di lavorare fuori ufficio per un determinato numero di ore».
Perché vi occupate di diritto del lavoro esclusivamente dalla parte datoriale?
«Perché nella vita devi scegliere: o fai l’attaccante o fai il difensore. Le due cose insieme non vengono tanto bene…».
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