Quando si parla di sicurezza sul posto di lavoro, nonostante una rinnovata consapevolezza dell’importanza di affrontare il problema, sono molti gli obblighi dei datori di lavoro per ottemperare alle normative vigenti (Decreto Legislativo 81/2008) . Oggi, per i titolari di impresa conoscere e fronteggiare situazioni di rischio sul lavoro dei propri collaboratori e attuare un protocollo di sorveglianza sanitaria è di estrema importanza anche ai fini della prevenzione.
Approfondiamo questo tema, mai come adesso di stretta attualità, con l’Ing. Bruno Pertici di ETHOS Poliambulatori con sede a Milano, che da più di quarant’anni è un riferimento storico nel settore della medicina del lavoro offrendo consulenza e supporto alle imprese.
Ing. Pertici, prima di tutto ci spieghi cosa tratta la medicina del lavoro e quali sono i suoi ambiti di intervento…
«La medicina del lavoro si occupa della salute e del benessere del lavoratore calato nel suo contesto lavorativo e operativo. Questo si traduce nella messa a punto ed attuazione di un protocollo che comprende tutti gli adempimenti sanitari indispensabili per giungere ad un giudizio di idoneità lavorativa rispetto alla mansione preposta. Dunque si parla di un percorso che comprende visite mediche, indagini specialistiche e di laboratorio alle quali si aggiunge anche la promozione del benessere e della salute in campo lavorativo, facendo quindi prevenzione ed informazione».
Quando si parla di lavoratori a chi ci si riferisce?
«Anche ad una sola persona, è sufficiente avere un lavoratore perché con la nuova normativa anche il concetto di lavoratore si è evoluto: una volta era solo quello dipendente, oggi anche lo stagista ed il praticante sono lavoratori a tutti gli effetti e quindi soggetti alla normativa. Come vede, si va oltre il concetto di dipendenza».
Quali sono i rischi più comuni che corrono i lavoratori?
«Sono ancora tantissimi e tutti legati, appunto, al luogo di lavoro che, non dimentichiamo, è il posto nel quale il lavoratore trascorre la maggior parte del proprio tempo. Si va dai disturbi posturali, per chi lavora alla scrivania e al computer, ai rischi da impresa produttiva che posso essere di natura chimica (componenti chimici, solventi, sostanze tossiche) o meramente fisica (movimentazione di pesi e carichi). Poi ci sono quelli di tipo più avanzato come le radiazioni ottiche, i campi elettromagnetici ed i rischi di natura biologica, ad esempio in ambito sanitario e farmaceutico. Ultimi, ma non di minor importanza, i rischi di tipo personale come lo stress, più subdolo ma sicuramente più diffuso ai giorni nostri. Oggi sono sempre di più le aziende che si rendono conto che lo stress può impattare sul lavoro e sul rapporto azienda-lavoratori».
Qual è la situazione attuale?
«C’è una consapevolezza maggiore, anzi… direi anche una sensibilità superiore nei riguardi dei temi della salute e del benessere sul posto di lavoro. Soprattutto per quello che riguarda le nuove generazioni di imprenditori che dimostrano un’attenzione maggiore verso questi temi e capiscono che è giusto investire per non trovarsi poi, tra qualche anno, a fare i conti con un depauperamento della forza lavoro proprio a causa di quei rischi che sono stati sottovalutati. Tuttavia, ancora molte imprese considerano la medicina del lavoro un mero adempimento normativo, quando invece la sua attuazione deve essere considerata una vera e propria opportunità».
In che senso?
«Perché, al di là degli obblighi della normativa vigente, investire sulla medicina del lavoro conviene all’impresa poiché porta grossi benefici. In moltissimi casi, lavorando in collaborazione con l’azienda, è possibile diminuire i costi riducendo l’esposizione ai rischi lavorativi: con piccole modifiche dei processi produttivi l’azienda può eliminare la presenza dei fattori di rischio con il risultato che una gestione proattiva della salute e del benessere dei lavoratori procura all’azienda un risparmio anche in termini economici riducendo sensibilmente i casi di assenza dal lavoro o di ridotta produttività a causa di problematiche di salute».
Quindi si opera con una visione più ampia…
«Certo. Una visione che non si limita solo alla visita medica delle persone sul posto di lavoro, ma va oltre, andando ad analizzare il sistema produttivo dell’azienda, identificando le aree di criticità e quindi riducendo i potenziali rischi presenti, perché è proprio lì che sta il risparmio dell’azienda. D’altra parte le problematiche lavorative assumono un’importanza sempre maggiore: affrontare questo problema con un metodo che, oltre ad ottimizzare la gestione dell’ambiente di lavoro e della salute del lavoratore, procuri un aumento di redditività e produttività per l’azienda non può che portare benefici concreti».
Qual è l’approccio migliore per fare medicina occupazionale?
«Gestire la salute sul lavoro si compone di tre elementi fondamentali: la sicurezza, e quindi il presidio della stessa sul posto di lavoro, la formazione specifica su come comportarsi e gestire il lavorare in sicurezza e, ovviamente, la salute del lavoratore. Questa è la triade che consente di operare eticamente e nella maniera idonea».
Sono tre componenti fortemente collegate…
«Infatti, occuparsi solo delle visite mediche trascurando il resto si rivela una strategia di scarso respiro. Il mio consiglio, che nasce dall’esperienza, è di integrare gli interventi di ciascuno dei tre ambiti: è importante far collaborare tutti gli attori del processo e l’ideale è avere un unico referente che si occupi di tutto, un approccio integrato che consente di avere una visione d’insieme corretta».
Perché è così importante un unico interlocutore?
«Affidarsi a un unico referente si rivela la strategia più efficace visto che la sicurezza detta le regole alla medicina del lavoro, ma le detta anche alla formazione. Allo stesso tempo, queste due ultime componenti forniscono alla sicurezza importanti feedback sulla base dei quali strutturare la gestione complessiva di queste tematiche. A fronte di ciò emerge l’importanza di avere un unico interlocutore in grado di ottimizzare le procedure nei tre ambiti, riducendo tempi e costi di intervento».
Cosa rischiano le aziende che sottovalutano questo problema?
«I datori di lavoro che violano le disposizioni di legge sono soggetti a una responsabilità, anche di tipo penale. Il rischio maggiore consiste nel trascurare i campanelli d’allarme, i rischi reali o potenziali a cui i lavoratori sono sottoposti. Rischi che si ripercuotono sul medio e lungo termine, danneggiando l’azienda stessa che li ha ignorati o che non ha tributato loro la giusta importanza».
In pratica, cosa deve fare un imprenditore? Da dove deve cominciare per rendersi conto della situazione della propria azienda?
«L’imprenditore o il datore di lavoro deve riflettere e valutare quello che sta facendo nell’ambito della sicurezza, considerare le reali criticità e quindi approfondire i possibili margini di miglioramento affidandosi a un esperto che, da osservatore esterno, verifichi se nell’azienda vengono attuati tutti le azioni necessarie e, nel caso, correggerle con i tre elementi in sinergia: sicurezza, formazione, salute».
Con questo approccio cosa succede, cosa si scopre di solito?
«Il più delle volte emergono grossi spazi di miglioramento: gli stessi datori di lavoro spesso si sorprendono della natura e dell’entità dei risparmi economici identificabili applicando un approccio integrato».
Ultima domanda: quanto è importante la prevenzione?
«Fondamentale. Anche in questo caso investire sulla medicina del lavoro conviene perché, con la diffusione di disturbi lavorativi sempre più complessi, e di sovente anche subdoli, se non riusciamo a fare uno sforzo immediato di prevenzione ci ritroveremo tra 5 o 10 anni con le problematiche oggi trascurate parecchio amplificate. Per un’azienda vuol dire rischiare di avere una forza lavoro con un numero elevato di persone soggette a malanni, patologie, fastidi o, comunque, non in grado di rispondere al meglio alla crescente produttività richiesta dal mercato. Io dico spesso: “Facciamo uno sforzo oggi per una migliore salute domani”».
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