Dalle forniture per i banchi alle gastronomie umbre ai semilavorati tecnologici per i big della gastronomia mondiale: un viaggio lungo 40 anni – Intervista a Federico Malizia, amministratore delegato della Ciam.

La Ciam viene fondata negli anni ’70 da suo padre Giuseppe: quali sono le tappe salienti di una crescita straordinaria?
«Mio padre ha iniziato con una piccola bottega a Bastia Umbra (Perugia), fornendo i banchi delle gastornomie e rosticcerie locali. Negli anni ’80 c’è stato il primo salto con le forniture per arredo bar e componibili per pasticceria, grazie alle quali sono state raggiunte quote significative del mercato nazionale. Negli anni ’90 un ulteriore step con l’approccio al semilavorato, realizzando celle da bar e frigoriferi ad alto contenuto di tecnologia mista a manifattura, una carta vincente che ci ha permesso di crescere su scala globale».
Ci spieghi meglio questo passaggio…

«In sostanza siamo riusciti a differenziare la produzione in base alle esigenze del mercato, garantendo due cose spesso in contrasto: alti standard e personalizzazione. Tutto ciò ci ha permesso di trasformare i nostri competitor in potenziali clienti. Abbiamo continuato ad investire sul patrimonio tecnico ed artigianale: nel 2010 abbiamo aperto lo stabilimento di Petrignano (Perugia), 23.000 metri quadrati, trasferendoci una seconda volta e quadruplicato il nostro ufficio tecnico. Abbiamo creato un settore di filiera, riunendo le varie fasi di lavorazione in modo flessibile in questa struttura all’avanguardia».
Il mercato come ha risposto?

«Sempre meglio, pensi che fino al 2010 le commesse dedicate all’estero non raggiungevano il 10%. Ora stanno raggiungendo la fetta italiana: facciamo fiere in tutto il mondo, abbiamo un rivenditore persino in Australia e oltre a bacini già noti come Nord America e Nord Europa, ci stiamo allargando in Africa e Medio Oriente».
Ma come nasce esattamente una commessa?
«Per semplificare possiamo dire che ce ne sono di due tipi: standard e speciale. Nella prima categoria rientrano gli ordini dei nostri clienti che ci conoscono e si fidano della produzione in catalogo; nell’altra sono architetti o studi di architettura che ci contattano, magari per la prima volta. A questo punto entra in gioco la nostra competenza per capire le loro necessità e dove si possono apportare modifiche per soddisfarle».
E quante sono complessivamente?

«Tra le 1100 e le 1200, circa. Abbiamo avviato un percorso di collaborazione con alcune figure esterne. È Il caso dell’architetto Fabrizio Milesi che ha curato alcuni degli ultimi prodotti, coordinandosi con il nostro personale tecnico».
Un numero impressionante tenendo conto che rifornite sia i piccoli gruppi che le grandi multinazionali, dalla catena alberghiera Hilton a McDonald’s, da Autogrill a Illy…
«Il segreto è mantenere un approccio identico indipendentemente da chi si ha di fronte: qualità e serietà sono punti cardine. A questo si aggiunge una flessibilità che miscela manifattura e tecnologia. Pensiamo ad un cuoco che si trova sul tavolo da lavoro davanti a tanti ingredienti. Non basta conoscerli bene, bisogna anche riuscire ad amalgamare la giusta dose. Per noi vale la stessa cosa».

Un’azienda capace di guardare avanti e rinnovarsi, insomma.
«Sì, per questo abbiamo lanciato lo scorso anno una start-up, Nomastar, dedicata al mobile-gourmet. Ci sono prodotti innovativi, come Bellagio, una vetrina refrigerata che svolge anche la funzione di lampada decorativa. Può essere installata a soffitto o a parete, appoggiata su un tavolo o su un piano di lavoro. E’ pensata per valorizzare al massimo le bevande che contiene ed invogliare al consumo. E’ un prodotto che si rivolge alle aziende di un settore in forte crescita come l’hospitality di lusso, anche se, non nascondo, che molti privati li acquistano anche per le loro abitazioni».
A proposito di prodotti: ce n’è uno al quale è particolarmente affezionato?
«È impossibile scegliere tra gli oltre 12.000 che abbiamo realizzato. Ma se proprio devo, dico “Murozero” e “Move16“, rispettivamente un armadio e una vetrina refrigerata, che abbiamo recentemente lanciato. Hanno caratteristiche tecniche uniche: arredano e sono funzionali. In una parola, valorizzano lo spazio esterno e il loro contenuto. Sono prodotti che richiedono una lunga gestazione, spesso servono brevetti per tutelare i sistemi o il design originale».
D’altra parte le aziende scelgono chi ha una marcia in più…
«Giusto, è così che siamo entrati in contatto con Illy o McDonald’s: entrambi cercavano una vetrina capace di differenziarli. O, parlando di un’eccellenza nazionale, Eataly: un nostro cliente è fornitore del gruppo e siamo stati scelti per fornire la parte tecnologica dei nuovi negozi»

Lei respira l’aria aziendale dagli anni ’90, nel 2006 era stato presidente, ora è amministratore delegato. Se guarda indietro rifarebbe le stesse scelte?
«Io vengo dall’ufficio tecnico, all’inizio disegnavo personalmente i prodotti, ora seguo gli sviluppi sin nei minimi dettagli. Sono fiero di quello che – tutti insieme – abbiamo costruito. Abbiamo preso giovani, investito sulla loro formazione, con voglia di crescere: crediamo nella risorsa umana che è alla base del lavoro. Ho visto molte scommesse vinte e ho maturato una certezza: nel campo del food noi italiani siamo insuperabili».
Perché?
«Nonostante le pastoie burocratiche e i pochi incentivi sul lavoro, nessuno sa fondere come noi il gusto del bello con le proporzioni, l’equilibrio e l

a funzionalità dei prodotti. Dal Rinascimento in poi è stato sempre così».
E se guarda avanti?
«Vedo un futuro forte, solido. In un mercato del lavoro che assomiglia ad una giungla, noi siamo in prima linea. Come un fortino attaccato che resiste e rilancia la sfida. Vedo un’azienda sana a vocazione sempre più internazionale».
Intanto si avvicina una data speciale…
«Già, il prossimo anno spegneremo 40 candeline! L’Host di Milano – dove saranno presenti i maggiori player del settore – rappresenta l’occasione adatta per festeggiare in modo indimenticabile. Ne parleremo presto».
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