Il titolare del ristorante albergo Stella D’Oro di Soragna – già insignito della stella Michelin per l’eccellenza gastronomica e la straordinaria cantina – ci racconta un percorso fatto di passione e sacrificio: «La qualità assoluta deve accompagnarsi a prezzi sostenibili»
Marco Dallabona, lei ha un lungo curriculum: dalla formazione alberghiera, fino agli stage in Francia, passando per la gavetta a Salsomaggiore e Milano. Le sue esperienze lavorative sono confluite nel ristorante Stella D’Oro, incastonato nel meraviglioso borgo di Soragna, in provincia di Parma. Ci spieghi qual è la sua idea di cucina.
«La cucina si muove tra due poli. Abbiamo il territorio, la rigorosa selezione delle materie prime, la tradizione. Poi c’è la parte dell’innovazione e della ricerca, che consiste nell’apportare qualcosa di nuovo, senza mai essere estremi. Innovare sì, ma in modo garbato ed evitando forzature. Anche il pesce – che noi prepariamo in varie declinazioni – segue la stessa linea di pensiero costruttivo del piatto».
Niente stravaganze, quindi?
«Esatto, si deve alleggerire una pietanza, renderla contemporanea tendendo alla perfezione e all’equilibrio. L’estetica ha un suo valore imprescindibile – il detto “si mangia anche con gli occhi” è sempre attuale – ma non deve mai sopravanzare il gusto».
Può fare un esempio?
«Partire dalla natura: se la pianta del pisello mette già a disposizione un legume rotondo, che senso ha frullarne una manciata per riprodurre una sfera più grande? Non amo gli addensanti e le gelatine che tanto vanno di moda, all’effetto scenico preferisco la sostanza. Riscoprire il valore della semplicità: non dobbiamo fare gli artisti estremi a tutti i costi».
Tuttavia ora sembra che lo chef sia un’artista a tutto tondo, grazie alla spettacolarizzazione dei programmi televisivi. Non crede?
«Ci sono pro e contro. Il boom televisivo ha sdoganato la figura del cuoco, dandole dignità e un certo vanto, sulla scia di quanto già avveniva in Francia. D’altra parte ha portato ogni telespettatore a credersi esperto, capace di stilare dettagliate recensioni. Non sempre è così, è evidente, ciascuno dovrebbe avere l’umiltà di riconoscere i propri limiti. Come ha citato una sera l’ideatore del marchio GROM (il gelato): ‘Chi sa, fa. Chi non sa, insegna’».
L’idea che un avventore possa recensire un ristorante stellato su Tripadvisor o portali simili non la entusiasma?
«Non è questo. Non mi piace chi si nasconde nell’anonimato per puntare il dito contro, i leoni da tastiera. Perché si deve partire da un presupposto: un ristoratore dà sempre il massimo in ciò che fa. Certo, le critiche – che dovrebbero limitarsi alla cucina senza attaccare il soggetto – ci stanno e aiutano a crescere. Il confronto con il cliente è essenziale: quando aggiungo una nuova proposta nel menù lo faccio dopo una fase di concertazione con gli ospiti».
A proposito di clienti: come sono cambiati i gusti nel corso del tempo?
«In linea generale, la crisi ha portato un appiattimento del gusto e molte persone cercano di spendere poco mangiando tanto. Assistiamo al fiorire di locali di street food o di panini gourmet. Un’idea di cucina che non propongo, ma comunque condivido se privilegia la semplicità. Non mi piace il voler risparmiare a tutti i costi: credo che, al di là del portafoglio, l’unica via da perseguire sia l’eccellenza gastronomica».
E comunque la Stella D’Oro è considerata dai critici un locale in cui all’altissima qualità dell’offerta si abbinano prezzi accessibili. Come stanno insieme le due cose?
«Le due cose devono stare insieme. Il come avviene privilegiando la filiera corta e applicando ricarichi giusti, sul cibo come sul vino. Sono soddisfatto anche per i clienti che considerano il ristorante stellato un lusso a cui non rinunciare e mi dicono: meglio venire qui due volte che tre altrove».
A proposito di vino: so che avete una cantina mirabolante, circa 1800 etichette. Non saranno un po’ troppe?
«(Sorride) L’importante è assaggiarle un po’ per volta, poi chi beve qualche calice in più, può fermarsi a dormire nelle nostre camere. Scherzi a parte, la cantina è un fiore all’occhiello, io stesso sono un appassionato di grandi vini, soprattutto bollicine. Anche qui è essenziale calibrare il vino alla pietanza, privilegiando la leggerezza».
E per quanto riguarda il servizio?
«Un buon servizio è attento, ma senza esagerare, senza asfissiare il cliente con spiegazioni prolisse. Il cliente va coccolato pensando ai dettagli: piatti, menù, calici sempre adeguati, tutto il contesto deve essere all’altezza. A partire ovviamente dall’ordine e dalla pulizia».
Una domanda di carattere generale adesso: i cuochi italiani sono rimasti l’ultimo baluardo del made in Italy?
«Se oggi abbiamo questa cucina nel Dna ringraziamo il grande Gualtiero Marchesi e il movimento francese a cui ci siamo ispirati con profitto. Certo, il made in Italy – con la nostra straordinaria disponibilità di eccellenze sparse nella penisola – è un valore aggiunto. Ricordiamo però che la cucina è contaminazione, intreccio di sapori e sincretismo culturale».
Non capita tutti i giorni di intervistare uno chef stellato. Vorrei approfittarne e chiederle una ricetta per i nostri lettori: qualcosa di veloce e sfizioso..
«Pasta con burro e formaggio. Un piatto essenziale e nutriente, a patto di non friggere il burro, ma amalgamarlo a dovere. E poi, avvicinarsi agli odori della ruralità. Come quelli delle erbe aromatiche: provate ad usare la santoreggia nella cucina domestica. O a sostituire l’origano secco con quello fresco sulla pizza marinara: vedrete che differenza!».
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