
Si può comunicare la propria reputazione?
Come posso raccontare agli altri quello che sono senza scivolare nel cattivo gusto dell’autocelebrazione?
E ancora: come posso assicurarmi che ciò che sono “arrivi” correttamente agli altri? Andiamo con ordine.
Innanzitutto, se la reputazione è ciò che siamo stati, ossia quell’insieme di gesti, amicizie e vita vissuta che ci “precedono”, allora è chiaro che non solo si può, ma si deve assolutamente comunicare.
Perché chi non comunica la propria reputazione, perché pensa che non sia necessario o non lo fa in maniera corretta, deve sapere che ci saranno altri che lo faranno al suo posto, e non sempre nelle forme e nei contenuti che uno si aspetta.
Quindi mi verrebbe da dire che “non si può non comunicare” la propria reputazione: una “non comunicazione”, infatti, reca più danni di una comunicazione sbagliata, perché mentre nel primo caso “delego” volontariamente agli altri il comunicare ciò che sono (perché io non lo faccio), nel secondo caso posso sempre intervenire correggendo gli errori di una comunicazione sbagliata.
Ma – passando al secondo punto – la reputazione va anche comunicata in maniera corretta, e il segreto per evitare di autocelebrarsi e autopromuoversi è quello di utilizzare le forme della comunicazione impersonale.
In pratica, devono essere gli altri a parlar bene di noi, essere i nostri veri testimonial, quelli che sono soddisfatti di un nostro prodotto o di un servizio fornito, coloro che apprezzano come ”stiamo” sul mercato, nel rispetto delle regole della competizione e con una immagine positiva.
Anche la nostra storia e i nostri valori, che possiamo trasmettere attraverso articoli, interviste o testimonianze dirette, “raccontano” in maniera corretta la nostra reputazione. Una strategia di comunicazione non può non tenere conto di questi aspetti, così come non si può relegare tutto ad un ufficio stampa che sia slegato dagli obiettivi di web reputation.
Infine, se arriva, come arriva la mia reputazione all’esterno?
Sappiamo bene che la comunicazione non si misura in partenza ma all’arrivo, in ciò che è percepito dai nostri destinatari della comunicazione.
E se parliamo di web reputation allora i destinatari non sono solo quelli che incontriamo tutti i giorni al bar o a passeggio in Centro, nei convegni o in Confindustria, bensì una piccola fetta dei miliardi di navigatori del web che ci interessa conoscere.
Per questo motivo, dobbiamo sapere chi sono quelli che digitano sulla tastiera del pc o sul tablet il nostro nome o il nome della nostra azienda, dobbiamo “targettizzarli”, continuare ad attrarli per conoscerli meglio, appassionarli per tenerceli stretti, informarli sempre correttamente ma senza infastidirli da un’offerta eccessiva di comunicazione, da una valanga “spammata” che sta debordando sulla rete.
Conoscerli con la mente e trattarli con il cuore, informandoli ed emozionandoli al tempo stesso: e la conoscenza parte sempre dall’ascolto.
E’ necessario “ascoltare” ciò che il web dice di noi, della nostra azienda e dei nostri prodotti: non basta un numero verde o un call center che ti chiama all’ora di pranzo, un’indagine di mercato pa-gata a peso d’oro ma realizzata da stagisti, un giro in Fiera o qualche sporadico Comunicato Stampa lanciato nel mucchio selvaggio del web.
Ascoltare è anche capire se ciò che sono stato (e sono ancora) sia talmente “noto” che gli altri, i clienti, i fornitori, le banche, i giornalisti o i nostri dipendenti, sono proprio quelli che comunicano meglio di quanto lo facciamo noi la nostra reputazione.