È opinione diffusa che per tradurre sia sufficiente conoscere a fondo una lingua straniera. O averne addirittura una conoscenza superficiale: ci pensa il dizionario a supplire alle carenze dei traduttori inesperti. Niente di più sbagliato: saper parlare una lingua straniera, perfino essere perfettamente bilingui, non basta per essere degli ottimi traduttori. Tradurre in modo professionale è più difficile di quanto possa apparire agli occhi dei non specialisti del settore. Ne parliamo con la dott.ssa Ornella Hugony, General Manager di CTI, Communication Trend Italia, impresa di servizi linguistici con sede a Milano con oltre 45 anni di esperienza in traduzioni e interpretariato, un portfolio di oltre 2mila aziende e più di 4mila traduttori a disposizione.
Perché essere linguisti non basta nel suo settore?
«Non è mai bastato essere soltanto dei linguisti, in particolare oggi. Il mondo del lavoro chiede al linguista di essere un iper professionista specializzato in un particolare ambito. Vale a dire che chi conosce la lingua meglio degli altri, compreso l’inglese, deve conoscere soprattutto l’argomento in questione per garantire una traduzione a regola d’arte. Per la professione di traduttore è quindi requisito necessario, per entrare nel mondo del lavoro, documentare un’approfondita competenza in uno o più campi tecnici, scientifici o economico-legali».
In che senso?
«Il punto di partenza è che la traduzione di testi tecnici comporta la conoscenza di un approccio linguistico completamente diverso dalla traduzione di un testo letterario. Questa competenza si concretizza nella capacità di analizzare un testo e di tradurlo in modo che sembri nato nella lingua di destinazione, onde evitare nel modo più assoluto imprecisioni terminologiche, se non addirittura errori ed incomprensioni del documento di partenza».
Qualche esempio?
«Pensiamo alla ricerca medico-farmacologica, che produce notevoli quantità di relazioni, studi, protocolli, articoli per la stampa specializzata, atti di convegni e documenti di varia natura che devono essere tradotti sia in base a precise normative nazionali ed internazionali, sia per la divulgazione nella comunità medico-scientifica. L’entità del lavoro in questo settore e l’indubbio interesse scientifico della materia sono tali da attirare l’attenzione di moltissimi traduttori, che non hanno però una preparazione che consenta loro di affrontare professionalmente questi testi».
In questi casi a chi si rivolgono le aziende?
«Le aziende si rivolgono a traduttori specializzati, poiché i medici, i biologi, i farmacisti che conoscono a livello professionale l’inglese o eventualmente altre lingue e che sono disponibili a tradurre sono pochi. Inoltre, queste figure professionali non conoscono né le tecniche della traduzione, né le norme stilistiche e le pratiche che la governano. Ecco quindi che la figura del traduttore professionista dalle competenze scientifiche e linguistiche può fare la differenza».
È qui che entra in gioco la formazione?
«Esattamente: studiare è fondamentale e, parallelamente all’apprendimento di una o più lingue straniere, occorre apprendere le basi degli argomenti in cui ci si vuole specializzare. Oggi l’azienda che si rivolge a un traduttore si rivolge infatti a un esperto in materia più che a un linguista e chiede una traduzione specialistica. Per questo un traduttore deve crearsi un bagaglio culturale e di competenze tecnico-scientifiche, oltre che linguistiche».
In che modo?
«Seguendo master strutturati per fornire conoscenze e competenze da applicare a tutte le lingue di lavoro del professionista. In quest’ottica, siamo stati i primi a proporre un’offerta formativa dedicata a traduttori ed interpreti in quattro discipline: “Economia e Finanza”, “Medicina e Farmacologia, “Informatica e Localizzazione”, “Traduzione giuridica”. Proponiamo inoltre due master online in traduzione tecnica per traduttori e interpreti in economia e finanza e medicina e farmacologia. L’obiettivo è promuovere una formazione avanzata e consentire ai traduttori di trovare nuove opportunità professionali e alle aziende di poter contare su traduttori professionisti e preparati».
Formazione a parte, anche i metodi di traduzione sono cambiati?
«C’è stata un’evoluzione che è partita dai computer e dall’uso di memorie di traduzione, mentre oggi siamo arrivati alla traduzione automatica, che si sta evolvendo sempre di più nella forma neurale basata sull’intelligenza artificiale. Grazie a questo metodo, i traduttori diventeranno anche dei veri e propri revisori di testi tradotti con questi sistemi in ambito tecnico-scientifico e, a maggior ragione, dovranno avere una profonda conoscenza dell’argomento oggetto di traduzione».
Ci spieghi meglio.
«La traduzione automatica neurale è una tecnica già molto usata negli Stati Uniti e dalle grandi multinazionali, che consente di velocizzare il processo di traduzione. Quando il software riceve il testo di partenza, lo rielabora grazie all’intelligenza artificiale e impara progressivamente l’argomento. In questo modo, migliora costantemente e produce quindi risultati traduttivi più che accettabili, soprattutto in ambito tecnico».
Prima la macchina quindi, ma l’uomo?
«Qui entra in gioco l’esperto: infatti, il traduttore tecnico-scientifico del futuro sarà anche un post editor che dovrà necessariamente essere formato e specializzato sulla materia. Ovviamente il punto di partenza è la traduzione: se la macchina velocizza il processo, il traduttore è il consulente di tutto il processo e garante del risultato finale».
Questo basterà a fidelizzare il cliente?
«L’importante è garantire qualità, velocità, affidabilità e risultati. Per ogni traduzione che consegniamo, ad esempio, forniamo un modulo di Customer Satisfaction chiedendo un giudizio sul lavoro svolto e anche eventuali preferenze terminologiche. In questo modo, riusciamo a creare una banca dati personalizzata per ogni azienda-cliente».
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