L’assenteismo è un problema che affligge tutti gli ambienti di lavoro, tanto nel settore pubblico quanto in quello privato. E in un periodo complesso come quello attuale i suoi effetti possono rivelarsi pericolosi per qualsiasi azienda. Ne parliamo con Rinaldo Testa, fondatore di Agiter Investigazioni, società che opera a Roma e Milano.
Testa, qual è la situazione attuale?
“Il problema dell’assenteismo è oggi molto presente e la maggior parte delle criticità si concentra in due situazioni: la malattia e i permessi a cui ha diritto chi assiste un familiare disabile sulla base della legge 104 del 1992. Avere dati sugli abusi è complesso, ma guardando all’assenteismo in generale, un’analisi realizzata dalla Cgia di Mestre con dati Inps rileva che nel corso di un anno le assenze per motivi di salute riguardano il 38% dei dipendenti di aziende private, addirittura oltre uno su tre”.
Come deve agire l’imprenditore che abbia il sospetto di essere ingannato da un dipendente?
“Sicuramente non deve agire da solo. Sia perché per svolgere indagini su qualcuno è necessario avere un’autorizzazione rilasciata dalla prefettura di competenza di cui dispongono solo gli investigatori professionisti, sia perché rischia di complicare la situazione per il futuro intervento da parte di una struttura specializzata. Il tentativo di indagine in completa autonomia da parte dell’imprenditore, infatti, metterebbe il dipendente nelle condizioni di agire con più attenzione e di non tradirsi lasciando eventualmente delle tracce. D’altra parte sarebbe anche sbagliato lasciar correre”.
Perché?
“Per il cosiddetto effetto domino, perché vedere che l’assenteista non viene punito potrebbe portare altri colleghi ad emularlo. Lasciar correre, poi, rovinerebbe il clima all’interno dell’azienda. Tra i dipendenti onesti non tarderà a diffondersi il malumore per il lavoro in più da svolgere a causa dell’assenza del ‘furbetto’ di turno”.
Cosa deve fare quindi l’imprenditore?
“Deve rivolgersi a un professionista. Il mio consiglio è di non accontentarsi di un’agenzia che confermi i suoi sospetti, ma di rivolgersi a una struttura capace di raccogliere prove efficaci e valide, che non possano essere smontate con facilità in tribunale. Sarebbe importante che un avvocato vagliasse il materiale raccolto dagli investigatori per verificarne la consistenza lavorando anche, laddove possibile, in stretta collaborazione con lo stesso investigatore. Nel caso in cui un dipendente sia in malattia per un dolore al polso, per esempio, dimostrare che la persona esce di casa per andare a fare la spesa risulta ininfluente, perché questa attività non incide in alcun modo sul normale recupero fisico, ma fotografarla mentre solleva senza sforzo una cassa d’acqua, potrebbe essere determinante per la costruzione di un quadro probatorio completo”.
La presenza di un supporto legale deve essere un criterio sulla base del quale scegliere l’agenzia a cui rivolgersi?
“Sì. Noi, per esempio, abbiamo un ufficio legale interno. È importantissimo per verificare in anticipo la validità e la solidità delle prove, può preparare il materiale raccolto per consegnarlo all’avvocato del cliente e, se necessario, confrontarsi direttamente con lui fornendo, se richiesto, un efficiente supporto. Si tratta di un servizio che le aziende che si rivolgono a noi apprezzano molto”.
Ci sono altre indicazioni per i datori di lavoro?
“Consiglio di pianificare in anticipo i controlli sui soggetti degni di attenzione, cioè di non fare attività a spot in caso di forti dubbi, ma di predisporre un piano per vigilare su di loro. In questo modo si tutelano sia l’azienda che gli altri dipendenti. Svolgere un’attività preliminare di studio delle dinamiche aziendali risulta nella maggior arte dei casi molto utile per lo svolgimento di indagini mirate ai singoli soggetti”.
Non c’è il rischio che i lavoratori percepiscano l’ambiente come eccessivamente rigoroso?
“No, in realtà avviene il contrario. Se si indaga per individuare i ‘furbetti’ gli altri lavoratori si sentono considerati, perché le assenze dei primi sarebbero pesate su di loro. Chiaramente i controlli non devono essere a tappeto su tutto il personale: in un’azienda da cento dipendenti, per esempio, controllarne 20 e punire i 5 o 6 che commettono illeciti fa sì che tutti gli altri si sentano più tutelati”.
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