Gratificare i propri dipendenti con beni o servizi, motivarli con incentivi che migliorino le performance aziendali, creare un clima più disteso sul posto di lavoro: tutto questo è possibile grazie al welfare aziendale, un fenomeno non più prerogativa solo delle grandi imprese, ma oggi in crescita anche tra le piccole e medie aziende. Ma che cos’è e perché rappresenta una grande occasione per i datori di lavoro? Ne parliamo con Roberta Jacobone, commercialista e titolare dello studio omonimo di Crema, attenta conoscitrice dell’argomento e da anni a fianco degli imprenditori che vogliono avvalersi di questa preziosa opportunità.
Dott.ssa Jacobone, cos’è il welfare aziendale?
«Per welfare aziendale si intendono tutte quelle iniziative promosse dal datore di lavoro che comportano benefit per i dipendenti e tese a migliorarne la qualità del lavoro favorendo anche un buon clima aziendale».
Per un imprenditore quali sono i casi in cui conviene pensare a un progetto di welfare?
«Innanzitutto questo è lo strumento ideale per quegli imprenditori che abbiano il desiderio di gratificare i dipendenti meritevoli oppure vogliano trattenere in azienda dei lavoratori qualificati o ambiscano ad inserire nuove figure. Inoltre, offrire un bene e un servizio anziché un aumento in busta paga a parità di investimento rappresenta un maggior vantaggio sia per l’imprenditore, che riduce gli oneri previdenziali, essendo i benefit detassati, sia per i dipendenti che vedono aumentato il proprio potere d’acquisto ottenendo dei servizi utili e risparmiando a loro volta sulle imposte».
Perché questo piano è sempre più utilizzato dalle piccole e medie imprese?
«In effetti fino a qualche anno fa era una soluzione poco diffusa, ma adesso finalmente si sta sviluppando una nuova sensibilità da parte di molti imprenditori anche grazie a una maggiore informazione sul tema e al fatto che si sono sciolti dei nodi legislativi che hanno reso questa norma, un tempo appannaggio solo delle grandi aziende, applicabile anche alle piccole e medie imprese. Molti imprenditori hanno il desiderio di gratificare al massimo i dipendenti, ma non sempre la situazione economica lo permette: il welfare aziendale quindi può essere una buona soluzione anche per chi non ha grandi disponibilità».
Come si sceglie il professionista più adatto?
«La prima cosa che consiglio è affidarsi a un consulente che sia esperto della materia, sia sotto l’aspetto normativo sia sotto quello applicativo, che riesca ad avere una visione d’insieme dell’azienda che gli consenta di gestire le risorse umane ottimizzando il costo del lavoro. Questo perché il professionista deve affiancare e saper guidare il datore di lavoro, aiutarlo ad individuare le risorse da destinare e nel contempo deve saper trasmettere questo meccanismo ai dipendenti, facendo la giusta informazione. Il ruolo del consulente welfare è complesso e molteplice e potrebbe integrare in maniera sinergica il lavoro di commercialista e consulente del lavoro».
All’atto pratico, quali sono le azioni che l’esperto compie in seno all’azienda?
«Prima di tutto bisogna capire quali obiettivi vuole raggiungere l’imprenditore e quali sono le risorse che intende mettere in campo. Inoltre, è fondamentale non fare l’errore di decidere a tavolino i benefit, ma coinvolgere nella scelta anche i dipendenti. La cosa migliore è fare un sondaggio per intercettare le esigenze e i “desiderata” dei lavoratori, che possono essere, ad esempio, assicurazioni o prestazioni sanitarie, servizi per la famiglia, rimborsi spese o anche corsi di formazione».
E in seguito?
«Sulla base delle risposte ricevute possiamo a questo punto stilare un progetto di welfare con delle proposte e dei pacchetti di beni o servizi che siano condivisi da dipendente e dal datore di lavoro. Il pacchetto di welfare è altamente personalizzato e modulato sulle necessità dei lavoratori, costruito, direi, in maniera sartoriale per quella specifica realtà. Poi ci sarebbe un’altra cosa molto importante da fare…».
Quale?
«Una consuetudine del mio studio è far compilare un questionario in forma anonima per capire se ci sono criticità nell’ambiente di lavoro o problemi tra dipendenti: questa è un’occasione per far esprimere malesseri latenti e trovarne le soluzioni. A volte, come mi è già capitato, anche solo spostare una scrivania o cambiare un orario di uscita può generare un clima lavorativo più sereno».
L’ascolto dei dipendenti è quindi importante…
«Fondamentale: coinvolgere i dipendenti è la conditio sine qua non per redigere un progetto di successo. E, dirò di più, anche quando il datore di lavoro non ha disponibilità finanziarie si può comunque fare qualcosa: con il welfare organizzativo messo in atto senza investimenti iniziali si ottengono grandi risultati. Anziché offrire servizi, si può, ad esempio, rimodulare un orario di lavoro per andare incontro alle esigenze delle dipendenti con figli o ridurre la pausa pranzo per uscire prima. In ogni caso è fondamentale che il dipendente percepisca il valore di queste iniziative e l’impegno del datore di lavoro».
Avvalersi di piattaforme di servizi può essere un’alternativa?
«Sicuramente esistono piattaforme molto utili soprattutto alle aziende più strutturate. Ma solitamente le proposte sono standardizzate e la piattaforma deve essere solo un punto di arrivo per non far decadere l’importante fase del dialogo e del confronto con datore e dipendenti. A mio avviso è basilare non trascurare tutta questa parte preliminare in quanto è propedeutica per un vero cambio di passo, e di cultura, in tutto l’ambiente lavorativo. Il ruolo del consulente è informare, individuare i bisogni dell’azienda e confezionare soluzioni personalizzate calate nel luogo in cui è ubicata l’impresa per una migliore fruizione dei servizi e per rafforzare l’economia del territorio».
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