“Un buon consulente deve lavorare per il cliente, quindi i consigli che deve dare sono basati sulle necessità della persona che si affida a lui e non sulle basi di un budget che la banca impone. L’obiettivo finale del buon consulente è quello di contenere i rischi”. Parola di Tiziana Checchi, Private Banker per Banca Fideuram di Montecatini Terme dal 2000.
Chi è che cosa fa un private banker?
“Iniziamo con il dire che il private banker è in primis un consulente. La professione si è evoluta perché da fornitore di consulenza nuda e cruda, adesso ha anche quella che definisco una “missione sociale”: assistere cioè in tutto e per tutto il cliente nella scelta delle migliori soluzioni finalizzate alla valorizzazione del suo patrimonio, garantire la conservazione nel tempo del suo tenore di vita, pianificare la successione e il risparmio fiscale. Evitare al cliente di incappare in crisi bancarie”.
Chi sono i clienti dei Private Banker?
“Sono quelle persone che necessitano di consulenza per ottimizzazione fiscale, testamentaria, consulenza aziendale, che necessitano di un supporto anche nella gestione della propria attività professionale rispetto a quelli che possono essere i risparmi personali. Sono persone che hanno bisogno di consigli precisi e ben ponderati, in modo da tutelare il proprio patrimonio nel tempo e su tutti i fronti: aziendali, familiari e personali. Sono inoltre tutte quelle persone ‘della porta accanto’ che desiderano avere come punto di riferimento un professionista specializzato nella gestione dei risparmi, sia quelli accantonati in una vita di lavoro, sia quelli in divenire”.
Come è nata questa figura?
“Nasce intorno agli anni novanta, quando l’aumento della volatilità del denaro, ha portato ad un aumento dei rischi per il trading. Questo ha causato uno stato di emotività dell’investitore, che spesso si è lasciato guidare dalle emozioni e dall’irrazionalità nelle scelte di investire il denaro. Con la conseguenza di esporsi a rischi anche severi”.
E oggi?
“Adesso i clienti sono molto diffidenti. Non c’è più la facilità di investire che c’era un tempo. Si assiste sempre più ai famosi effetto – gregge: quando i mercati salgono tutti vogliono acquistare, mentre quando scendono tutti vendono, perché di fronte e uno che inizia a vendere si innesca un effetto leva e poi il prezzo crolla”.
Cosa succede con il “fai da te?”
“Mediamente per chi fa da sé entra in gioco il meccanismo della diffidenza, che spesso porta l’individuo a concentrare i propri investimenti su pochi titoli di realtà che già conosce. Tra i vari comportamenti che si innescano vi sono quelli della rappresentatività e dell’ancoraggio”
Cioè?
“Quando una persona acquista per i propri investimenti titoli, fondi, strumenti solo perché ci si affida al sentito dire (ad esempio il vicino che ha guadagnato con quel titolo), quando in generale si prendono decisioni ma siamo influenzati da stereotipi, quando ci si affida a quel che noi conosciamo, che secondo noi è la verità. Non ultimo la disponibilità: io compro quello che per la mia testa, per le mie conoscenze è il meglio, perdendo altre opportunità ed esponendomi al rischio che quelle poche decisioni che ho preso siano sbagliate. Tutti questi si chiamano bias comportamentali”.
Sembra quasi entrare in gioco la psicologia…
“Infatti è la psicologia cognitiva che sta alla base della finanza comportamentale”.
Ci spieghi meglio…
“Questi studi economici includono nei propri modelli i principi di psicologia legati al comportamento individuale e sociale. Nella vita di tutti i giorni, anche in ambito finanziario quindi, quando dobbiamo prendere delle decisioni e il numero e la frequenza delle informazioni cresce, il cervello ci porta a valutazioni distorte, o prende delle “scorciatoie” – che da una parte consentono di ridurre la complessità del problema ma possono, nel contempo, produrre errori sistematici e significativi”.
Cosa deve fare quindi un buon consulente?
“Un buon consulente deve anche riuscire a fare da “psicologo” e aiutare il cliente e mantenere quel sufficiente distacco rispetto a ciò che sta accadendo in quel momento, svincolandolo dal presupposto che l’emotività del singolo muove il mercato. Il buon consulente anziché fomentare le fasi di euforia deve aiutare il cliente a compiere scelte razionali, altrimenti lo porterà all’autodistruzione”.
Quali sono i rischi di non affidarsi a un consulente finanziario?
“E’ capitato e capita spesso che clienti che avevano il loro patrimonio in una banca tradizionale dove magari si servivano da tantissimi anni, erano convinte di avere dei portafogli estremamente sicuri con dei rischi estremamente bassi. Il 100% del patrimonio era tutto allocato su obbligazioni emesse da quella stessa banca”.
E invece?
Queste persone in realtà si trovavano di fronte a un grandissimo rischio: in realtà stavano prestando il 100% dei loro denari a una banca che magari non navigava in buone acque. Totale assenza di diversificazione e di qualunque regola di buon senso”.
Cosa vuol dire diversificazione in economia?
“I portafogli che sono gestiti da consulenti finanziari mediamente sono diversificati, con rischio complessivo basso perché si sviluppano su fronti diversi. Dobbiamo infatti ben sapere che non esiste il prodotto perfetto e applicare quindi una grandissima diversificazione, facendo investire il cliente su più prodotti. Questa è la base di un qualunque investimento sensato. Diversificazione significa andare a parcellizzare il rischio emittente, il rischio paese, il rischio mercato. Assolutamente da evitare sono gli investimenti ad alto rischio nel breve termine. Vanno adottate strategie di investimento che abbiano obiettivi nel lungo periodo”.
Qual è l’obiettivo finale di un buon consulente?
“Se dietro la scelta di investire finanziariamente ci fosse sempre dietro un consulente in grado di dare supporto, si ridurrebbe di molto il rischio di fare scelte sbagliate. L’obiettivo finale è appunto quello di contenere i rischi… e non si può prescindere dalla diversificazione”.
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